In una sentenza importante, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha detto che aiutare dei minori di cui si ha affidamento a entrare nell’UE non è un reato. La Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) ha affermato che questo comportamento non costituisce “favoreggiamento dell’ingresso illegale” secondo il diritto dell’UE che protegge i minori e garantisce l’unità familiare, due diritti sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE. “Un genitore che agisce in questo modo esercita semplicemente la propria responsabilità nei confronti del minore”, ha chiarito la Corte.
I giudici hanno stabilito che le leggi sull’aiuto o il cosiddetto traffico di esseri umani non devono essere in contrasto con i diritti fondamentali sanciti dalla Carta dell’UE, in particolare l’interesse superiore del minore (articolo 24), il diritto alla vita familiare (articolo 7) e il diritto di asilo (articolo 18). La Corte ha anche sottolineato che, dato che O.B. aveva presentato una domanda di protezione internazionale, non doveva essere soggetta a sanzioni penali per ingresso illegale.
Questo è un giorno molto importante per chi cerca giustizia alle frontiere dell’Europa. La sentenza dimostra che ogni legge nazionale ed europea può essere contestata alla luce della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Questo potrebbe essere l’inizio di una revisione dell’intera legislazione in materia di smuggling, che non lasci spazio alla criminalizzazione della migrazione e della solidarietà
La valutazione della Corte è stata resa in relazione al caso Kinsa (ex Kinshasa, C-460/23) riguardante una cittadina congolese e i suoi familiari. O.B. è arrivata all’aeroporto di Bologna nell’agosto 2019 con la figlia di 8 anni e la nipote di 13 anni. La famiglia aveva usato passaporti falsi per viaggiare in Italia e chiedere protezione internazionale. All’arrivo, O.B. è stata arrestata e separata dalle due bambine e accusata di aver facilitato il loro ingresso illegale, condotta punita con una pena fino a cinque anni di reclusione.
Cancellaro ha presentato al tribunale di Bologna la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea per valutare la compatibilità del pacchetto UE sullo smuggling – nonché della relativa legge italiana sul favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, articolo 12 – con la Carta dei diritti fondamentali.
Questa sentenza dimostra che la Carta dei diritti fondamentali dell’UE non è solo simbolica, ma ha anche un peso. La sentenza è però strettamente limitata ai casi che coinvolgono assistenti di cura e minori, lasciando intatta la più ampia criminalizzazione dell’assistenza umanitaria. Ora spetta ai futuri contenziosi basarsi su di essa per contestare l’uso improprio delle leggi sul traffico di esseri umani nei confronti dei difensori dei diritti umani, degli attori della solidarietà e delle persone in movimento.
Le leggi sulla facilitazione criminalizzano principalmente le persone in movimento. Negli ultimi anni, migliaia di persone sono state condannate a lunghe pene detentive in base alle leggi contro il traffico di esseri umani semplicemente per aver guidato una barca o un’auto durante il proprio viaggio o per aver svolto altre mansioni a bordo, come l’uso di un GPS. Ma queste leggi criminalizzano anche gli atti di solidarietà, come le operazioni di ricerca e soccorso o la fornitura di riparo, acqua, cibo o vestiti. Solo nel 2024, almeno 142 persone hanno dovuto affrontare procedimenti penali o amministrativi per atti di solidarietà nell’UE.
La sentenza arriva in un momento critico, mentre le istituzioni dell’UE stanno rinegoziando il pacchetto Facilitatori, l’insieme delle cosiddette leggi anti-traffico che da tempo consentono la criminalizzazione delle persone in movimento e di chi le assiste. Questa sentenza testimonia la necessità di prevedere esplicitamente le eccezioni umanitarie nel diritto dell’UE, per evitare che venga usato contro chi agisce per assistenza, solidarietà o necessità.
Le cosiddette leggi sulla facilitazione hanno portato alla criminalizzazione e all’incarcerazione di massa delle persone in movimento. Le sofferenze causate sono incalcolabili e irreparabili. Ma la sentenza odierna deve essere l’inizio dello smantellamento di queste leggi. La nuova direttiva UE sull’assistenza e tutti i casi di criminalizzazione devono essere urgentemente riesaminati alla luce del principio alla base di questa sentenza: i diritti fondamentali devono sempre prevalere sulla protezione delle frontiere“
Raramente ci chiediamo perché le persone sono costrette a rivolgersi ai trafficanti: la mancanza di vie di ingresso sicure e legali per richiedere protezione internazionale. Di conseguenza, sono gli atti di “facilitazione” a proteggere diritti fondamentali come il diritto alla vita e all’autodeterminazione. La legge deve riflettere questo.
Il messaggio della Corte di giustizia dell’Unione europea è chiarissimo e rende giustizia alla famiglia: l’Italia li ha criminalizzati ingiustamente. Ma questo può essere solo un primo passo: molte persone, tra cui numerosi rifugiati che vogliono aiutare chi è in difficoltà, continuano a rischiare procedimenti penali davanti ai tribunali nazionali. È quindi urgente che l’UE introduca un’eccezione esplicita per chi agisce per motivi umanitari. Perché la fuga e la solidarietà non sono reati.
Maggiori informazioni, domande frequenti, critiche giuridiche e testimonianze delle persone coinvolte, degli attivisti e di altre organizzazioni sono disponibili sul sito web dedicato al caso Kinsa.
Per ulteriori domande o richieste di interviste, si prega di contattare: kinsa-case@solidarity-at-sea.org
CJEU documents:
The judgment and a summary of the judgment
The judgment, read by Koen LENAERTS, President of the Court
Press release by CJEU
L’avvocato di O.B. è inoltre sostenuto nel procedimento dal Fondo di assistenza legale di PRO ASYL.